Anno 17 N. 2 (2009): Fascicolo 2/2009
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Mostri e meraviglie. Echi dall’ antico nelle opere di Sylvia Plath

Pubblicato 11/10/2010

Come citare

Lanza, L. (2010). Mostri e meraviglie. Echi dall’ antico nelle opere di Sylvia Plath. Analisi Linguistica E Letteraria, 17(2), 323–348. Recuperato da https://www.analisilinguisticaeletteraria.eu/index.php/ojs/article/view/351

Abstract

Nell’universo visionario di Sylvia Plath numerose sono le immagini, le fantasie, gli spettri che infestano e, d’altro canto, alimentano la sua anima e la sua poesia. In non piccolo numero affiorano da un passato più o meno remoto, anche dal patrimonio della mitologia classica, e si innestano su mostri più recenti, vivi, dunque pericolosissimi. È questo il caso della Gorgone Medusa, presente nelle evidenze letterarie e artistiche dell’antichità greco–romana ed etrusca, che trova infausta personificazione nella figura (reale) della madre–matrigna Aurelia – come dimostrano sia brani in poesia e in prosa sia, di più ancora, le vibranti pagine dei Diari. È dunque l’eterno, irrisolto conflitto con la figura materna a determinare fin dagli inizi, nella poeta americana, tutta una serie di pulsioni, inquietudini, desideri, rifiuti, incertezze, ansie, in un continuo, sofferto alternarsi di vittorie e sconfitte. Motivi e ossessioni che trovano ulteriori benché diversi echi nei brani sull’esperienza matrimoniale con Hughes, destinata a chiudersi tragicamente, per Sylvia, con la delusione dell’adulterio e il successivo suicidio all’età di 30 anni.